Discutiamo - e ne beviamo! - di vino durante le accese diatribe su comè il vino oggi, specialmente il bianco. Gli amici wine bevars (bevitori) concordano su come i vini bianchi doggi fatti con la tecnologia della vinificazione in bianco, pur presentando un buon gusto e un buon profumo, non abbiano sicuramente anima, corpo e personalità. Al contrario i vini dal color delluva, grazie alla loro macerazione, oppure perché non sono filtrati o ancora per la fermentazione con lieviti indigeni, sono sicuramente diversi tra loro e in possesso di sapori, profumi e colori di peculiare personalità. Prima degli anni 70 i vini bianchi erano vinificati come rossi e venduti, bevuti e apprezzati per il loro colore. Quello che io chiamo vino moderno e/o innaturale lo è perché eccessivamente pulito, omologato nel gusto; un vino in cui i mosti vengono scomposti e ricostruiti come fossero i piatti della cucina molecolare del noto cuoco spagnolo Ferran Andrian, inventore della cucina che destruttura. Il vino, tuttavia, è ben altra cosa che un puzzle da ricostruire! «È meglio il peggior vino contadino che il miglior vino dindustria », citava Veronelli. I contadini di ieri sono gli industriali di oggi che per produrre vino si affidano ad alchimisti-enologi sempre più interpreti del gusto del mercato, con bottiglie che superano i 20-30 euro di costo e le 100mila unità di produzione, tutto per fare una bevanda che assomiglia al vino ma ricorda, soprattutto, gusti e profumi di legno tostato e caffè, essenze di sintesi più vicine al profumiere che al cantiniere. È pur vero che molti di questi vini sono presenti negli scaffali delle nostre enoiteche-enoteche, come alla mia Mascareta, proprio per essere stappati e messi a confronto in bevuta diretta: un Tocai color paglierino con un giallo dorato, un Brunello Castelgiocondo di Frescobaldi che sa di vaniglia e caffè a confronto con un Brunello di Soldera al profumo di nespola, prugna, scorza darancia, vino questo nemmeno preso in considerazione dai Guidasti (giornalisti che fan guasti… ) del «Gambero Rosso» in Italia e di «Wine Spectator» in America. Le indicazioni top di Cernilli e Parker non corrispondono minimamente ai consumi pubblici e alle preferenze degli Osti, attenti e appassionati bevitori. Lo sosteneva anche mio nonno Guido: «Attento, Mauro! Il mondo è governato dallarticolo quinto, chi ga i schei ga vinto». Noi Osti, però, illustri sconosciuti, in bottega ci facciamo ascoltare dai nostri avventori! Confermo dunque la mia opinione, per quanto possa contare: di vini cattivi, a livello gustativo, in commercio ce ne sono ben pochi, così come di genuini… Lo strumento di valutazione più affidabile è sicuramente la voce dello stomaco, magari abbinata al cuore. E il sogno realtà diverrà...
I sogni son desideri!
Venezia News ottobre, 2011